sabato 7 gennaio 2017

Il ritorno del ragazzo speciale Tim Burton


Solo Tim Burton avrebbe potuto dirigere magistralmente un film su dei ragazzi con superpoteri, anelli temporali e mostri che mangiano gli occhi dei bambini; e sì, sappiamo bene quanto lui ami occuparsi di opere che hanno per protagonisti gli emancipati. Ma non appena si è diffusa la notizia che a dirigere "Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali" sarebbe stato uno dei più visionari registi contemporanei, è sembrato subito noto a tutti che avrebbe centrato il bersaglio.
Ed in effetti Burton ci offre una storia che, sebbene parecchio lontana a livello di trama dal libro da cui è tratta, è in mani sicure: quelle di un regista che ha fatto della peculiarità il suo tratto distintivo.
Il film è piacevolissimo e, anche se è chiaro che sia un prodotto confezionato per bambini e pre-adolescenti, vista la massiccia presenza di villains e mostri, non perde il tipico tratto creepy del regista e accoglie alla visione un pubblico vasto ed eterogeneo.
Il messaggio di amore, per gli altri e per se stessi, e di speranza che trasmette è accompagnato da tanti insegnamenti, sia per i più piccoli ma anche per quei grandi a volte un po' intolleranti e superficiali: amicizia, amore e rispetto incondizionati circolano tra i personaggi, e non mancano neppure la speranza e il coraggio.
Tim Burton ci offre una fiaba dal fascino gotico permeata da valori senza tempo, che soprattutto in tempi attuali andrebbero riscoperti e fatti propri.

di Chiara GodSaveTheBling

sabato 17 dicembre 2016

Sully: trionfo del patriottismo o dell'umanità?


"Come è possibile che quello di Million Dollar Baby e Gran Torino sia un fascistone?". Questa e altre domande simili da qualche mese albergano nella mente di molti, in particolar modo da quando Clint Eastwood ha apertamente dichiarato di appoggiare Trump nella corsa alle presidenziali americane.
Ed ecco che molti, armati di impermeabile, lente d'ingrandimento e voglia di scoprire quale mistero si celi dietro la filmografia del suddetto signore, come dei moderni Sherlock Holmes si sono messi alla caccia delle tracce di fascismo e patriottismo nascoste in film come Sully, ultimo lavoro del regista uscito negli Stati Uniti proprio due mesi prima del risultato elettorale americano.
Davanti un Tom Hanks con baffi e capelli bianchi, proprio come il vero Sully (Chelsey Sullenberger, pilota americano), c'è stato chi si è quasi sentito in dovere di passare oltre la sua interpretazione e oltre l'evento portante del film per cercare, nel tentativo estremo di un uomo di salvare ben centocinquantacinque vite, il patriottismo di cui si veste orgogliosamente l'opera.
E, sinceramente, di patriottismo non ce n'è neanche l'ombra.

Non esiste patriottismo che tenga in Sully, perché non è la storia di quanto sia grande l'America o di quanto questa sforni e acclami grandi uomini, ma piuttosto è la storia di un solo uomo contro tutti: la grande America non vorrà premiare il suo coraggio, la sua professionalità e la sua lucidità, ma si troverà costretta a farlo, non senza prima averlo condannato a più riprese per un comportamento considerato scellerato.

È la storia vera di un uomo che verrà ricordato in tutto il mondo come il pilota atterrato nell'Hudson, colui che ha evitato manovre impostegli dall'aviazione per seguire un proprio istinto infallibile (e salvifico) che solo anni di esperienza e passione possono dare.
Cercare il patriottismo in Sully sarebbe come cercarlo in Erin Brockovich - Forte come la verità, o nel nostrano Il Giovane Favoloso, e l'elenco potrebbe continuare; questi e molti altri sono film che celebrano gli uomini, la loro grandezza e umanità, e non i Paesi, e tantomeno cercano di erigere confini fittizi nel tentativo di evidenziare la propria onnipotenza.
Sully è una storia di amore e passione: per il proprio lavoro e per la vita, e gli sguardi, le parole e i visi dei veri sopravvissuti, in un commovente confronto col vero Sully nei titoli di coda, ne sono la testimonianza migliore contro ogni detrattore passato e presente.

di Chiara GodSaveTheBling

sabato 10 dicembre 2016

"Animali Notturni" di Tom Ford - Recensione


Susan (Amy Adams) vive a Los Angeles ed è una donna insoddisfatta: nonostante sia un'artista bellissima, brillante e famosa e abbia soldi, fama e una casa meravigliosa, nella sua vita manca qualcosa, quella felicità che anche tutto il denaro del mondo non può darle. In più suo marito non le presta attenzioni, perché preferisce di gran lunga dedicarle all'amante.
La mattina dopo il successo dell'inaugurazione di una sua galleria d'arte, Susan riceve un pacco da un mittente che la lascia a dir poco sorpresa: il suo ex marito Edward (Jake Gyllenhaal), scrittore avviato, le ha inviato la prima bozza del suo romanzo, intitolato "Animali Notturni", e vorrebbe che lei fosse la prima persona a leggere e il libro e gli facesse sapere cosa ne pensa, magari incontrandosi per la prima volta dopo vent'anni, visto che si trova in città. Susan approfitta della sua insonnia e della partenza del marito per New York per iniziare a leggere l'opera.
Il libro la colpisce subito sia perché dedicato a lei, sia per il titolo stesso: Edward, infatti, ai tempi della loro storia la chiamava proprio "animale notturno".
La storia narrata non ci mette molto a catturare Susan: i protagonisti sono la famiglia Hastings, i coniugi Tony e Laura e la figlia adolescente India, i quali si mettono in viaggio attraverso il Texas occidentale. Proprio su richiesta di India, la famiglia non si fermerà una notte a riposare ma proseguirà il proprio viaggio sulla statale; qui vengono tamponati e provocati da dei ragazzi, visibilmente su di giri, a bordo di un'automobile verde, i quali costringono gli Hastings ad accostare sul ciglio della strada, tra provocazioni e minacce. Da qui inizia il calvario della famiglia, e in particolar modo di Tony, con cui Edward si è senza ombra di dubbio immedesimato, come Susan avrà modo di constatare proseguendo nella lettura: entrambi infatti hanno affrontato la perdita e la disperazione.
Il libro è crudo e violento, ingiusto, senza la canonica vittoria del bene sul male, e nonostante Susan ne rimanga irrimediabilmente scossa non riesce a staccarsene poiché, pagina dopo pagina, si rende conto che anche la sua vita è stranamente ed irrimediabilmente parallela a quella di Tony e di Edward.

Proprio su un susseguirsi continuo di parallelismi si fonda il film (tratto dal romanzo "Tony and Susan" di Austin Wright), che vede Tom Ford alla sua seconda regia (la prima è datata 2008 e lo vede dirigere "A Single Man"). Probabilmente è grazie al suo finissimo gusto estetico che "Animali Notturni" è un prodotto superbamente piacevole per la vista: il senso estetico è sopraffino e le attrici femminili sono senza dubbio uno dei punti forti dell'opera, grazie alla loro bellissima presenza e all'elemento che le accomuna, ovvero i capelli rossi.
Sono parallele entrambe le storie raccontate, che inevitabilmente condurranno verso un punto comune, sia i rimandi visivi, le inquadrature, le pose dei personaggi, la piega che assumono le loro vite, sia anche i più piccoli particolari. Inoltre, straordinaria presenza nelle vite dei tre protagonisti, Tony, Edward e Susan, è paradossalmente l'assenza, che in un modo o nell'altro attanaglia le loro vite in una morsa inestricabile.
Il libro, inoltre, porterà Susan a ripensare alla sua vita e a che punto le sue scelte l'hanno condotta: la solitudine di Edward, da cui si è separata da ormai vent'anni, è la sua stessa solitudine; lo stesso vale per la perdita e l'insoddisfazione, scoprendo così che ha in comune con il suo ex marito molto più di quel che immaginava. Se è vero che "ognuno di noi nasce e muore solo", questa massima descrive appieno la vita dei protagonisti e in generale tutta l'opera.

In tutto questo susseguirsi di parallelismi, però, c'è da notare una grande differenza: Gyllenhaal, dividendosi nel doppio ruolo di Tony/Edward, nei panni di quest'ultimo condividerà una silenziosa disperazione con Susan, mentre nei panni di Tony ci grida in faccia il dolore della perdita, dell'assenza, dell'impotenza, la quale colpisce inesorabile e senza esclusione di colpi chiunque, senza stare a pensare a chi ne cadrà vittima.
E proprio impotenti rimangono gli spettatori, abbandonati soli in un viaggio al cardiopalmo all'interno di sé stessi, con mille interrogativi e un senso di esitazione generale nei confronti della vita, della prossima mossa da compiere. L'onnipotenza e la convinzione che andrà sempre tutto bene è un prodotto favolistico, e "Animali Notturni" chiude brutalmente il nostro libro di favole e ce lo strappa di mano, per sostituirlo con un crudo thriller che non è nient'altro che il libro della nostra vita.

di Chiara GodSaveTheBling

martedì 6 dicembre 2016

The Legacy Of Luther Strode





Nel 1979 il fumettista americano Will Eisner iniziò, grazie alla pubblicazione della sua opera magna “Contratto con Dio”, due rivoluzioni totali che avrebbero cambiato per sempre il mondo del fumetto: di una magari ne parliamo un’altra volta, l’altra invece è importante per giustificare la risposta alla mia prossima domanda.

Può un’opera in cui dei tizi super forti si menano essere uno dei migliori fumetti degli ultimi anni?

Diavolo sì.


“The Legacy Of Luther Strode” è il terzo ed ultimo volume della trilogia di Luther Strode, scritta a partire dal 2011 da Justin Jordan, disegnata da Tradd Moore e colorata da Felipe Sobreiro.
È, come detto, essenzialmente una serie nella quale gente super forte si prende a cinquine in faccia, perde litri di sangue e compie diversi stragi, e dove le varie scazzottate sono legate insieme da una trama a tratti banale: quello che la serie mette in chiaro fin dal primo numero è il trionfo assoluto del “come” sul “cosa”.
La regia delle tavole, che il soggetto sia una notte d’amore o un inseguimento in autostrada, è incredibilmente focalizzata, così attenta e precisa nel sottolineare le singole azioni dei personaggi e i rapporti causa-effetto che le legano, da far paura. È un flusso continuo di sguardi, inseguimenti, schivate, colpi e tanto, tanto sangue: il rosso (che insieme al bianco ed al giallo ha un ruolo narrativo predominante all’interno dell’opera) dipinge i corpi dei lottatori mano a mano che gli scontri vanno avanti, “healt bar” discreta ma efficacissima nell’aggiungere ulteriore effetto e peso all’azione.
È un flusso anche l’evoluzione artistica di Tradd Moore fra il primo e il terzo volume di questa serie: dal tratto spigoloso dei primi numeri si passa a momenti come questo: 
nei quali ogni linea conta, ogni linea dà risalto a quanto scritto da Justin Jordan. La trama, minimalista, è e resta solo un pretesto per fare fumetto nella sua forma più incontaminata e pura.

E torniamo alla premessa.
In “Contratto con Dio” Eisner si spese tanto per creare un’opera che fosse solo e soltanto fumetto, sfruttandone il linguaggio nella sua totalità ed irriproducibilità: fumetto che vuole essere fumetto senza inseguire altri media percepiti come più “alti” o “maturi”.
“The Legacy Of Luther Strode” fa la stessa cosa, la fa benissimo ed è per questo una lettura obbligata.  

Solo per Sempre Tua di Louise O'Neill. Distopia o Realtà?

Recensione del romanzo di Louise O’Neill, acclamato dalla critica come manifesto del neofemminismo. Qual è il confine tra finzione e realtà?




Titolo: Solo per Sempre Tua
Titolo originale: Only Ever Yours
Traduttrice: Anna Carbone
Editore: Il Castoro
Collana: Hot Spot
Pagine: 365
Prezzo: 16,50

Trama:
Sono sempre state amiche, freida e isabel. Ora hanno sedici anni, frequentano l'ultimo anno della scuola e sono in attesa della cerimonia dove sperano di essere scelte come compagne da uomini ricchi e potenti. L'alternativa è diventare concubine, o non essere scelte affatto e andare incontro a un destino terribile. Come tutte le altre ragazze, freida e isabel sono state prodotte in laboratorio e allevate con l'unico scopo di diventare perfette: la cura del corpo deve essere la sola ragione di vita, il loro carattere deve essere socievole e disponibile. Ora che il momento sta per arrivare la pressione è fortissima, isabel mette a rischio la sua sfolgorante bellezza perché non vuole più sottostare alle regole di questo mondo spietato... Poi finalmente i ragazzi arrivano, per scegliere le loro compagne, freida sa che deve combattere per il suo futuro, anche se per questo deve tradire la sua migliore amica, anche se significa innamorarsi quando è vietato, anche se sa che le conseguenze possono essere irreparabili... La storia di freida e isabel (senza maiuscole perché non possono essere delle vere persone) è ambientata in una società futura, dalle regole ferree e sconvolgenti. Eppure, leggendo di questo futuro immaginario, freida e isabel sono più vicine a noi di quanto possa sembrare.


 Recensione:

“Sono una brava ragazza, sono attraente, sono sempre piacevole”
Presentato al pubblico come uno young-adult, il lavoro di Louise O’Neill è in realtà distante da tutti i libri nel suo genere: ambientato in una società distopica dove le donne vengono create in laboratorio ed allevate, belle e disponibili, solo ad uso dei figli maschi, Solo per Sempre Tua è un romanzo disturbante, a tratti spaventoso, che dà molto da pensare.
La storia di freida e isabel (senza maiuscole perché non possono esser considerate persone in quella società), cresciute insieme, amiche da anni, si snoda sulle vicende del loro ultimo anno di corso nella scuola in cui sono state allevate e nella quale, infine, dovranno esser scelte per diventare mogli degli Eredi di quella generazione o, in alternativa, concubine.
Premetto che è difficile parlare di un libro che ti ha lasciato così tanto dentro, o meglio, così tanto vuoto dentro, perché è proprio questo l’intento del lavoro di Louise O’Neill: svuotare la donna di ogni consapevolezza di emancipazione, avvicinandola a queste bambole e facendole capire che, in fondo, la concezione del corpo femminile nella società odierna non è poi tanto diversa da quella agghiacciante, esasperata, che ci propone.
“Le ragazze grasse devono esser fatte fuori” ripetono gli altoparlanti a ragazze e bambine in questa scuola. Alle donne non viene insegnato né a leggere, né a scrivere: d’altronde a cosa servirebbe? Metterebbe loro in testa idee, idee pericolose che non dovrebbero avere.
Quest’ossessione per la bellezza, che nel loro mondo è equivalente al potere, per il peso, per le apparenze, è una presenza martellante all’interno del romanzo: non a caso la O’Neill, ora dichiarata femminista, ha lavorato per un periodo come style-assistant a New York da Elle, nota rivista di moda. La violenza diffusa nel libro, ma mai apertamente dichiarata, fa star male, prende il peggio della misoginia e del sessismo e li distilla, li cristallizza.
La scrittura di Louise O’Neill è graffiante, penetrante, tanto che ogni donna che legge questo libro può riconoscere certi meccanismi femminili di cui tutte, almeno una volta, sono rimaste vittime: il branco, l’esclusione dal gruppo, la paura di non essere all’altezza, di non essere abbastanza bella, abbastanza carina, abbastanza compiacente.
Il libro parte lento, descrittivo, fino a precipitare in un epilogo schiacciante, una conclusione che nessuno si aspetterebbe da uno young-adult, forte quanto un pugno allo stomaco.
Solo per Sempre Tua funziona perché, nonostante le ambientazioni estreme, tipiche del genere, niente di tutto ciò che viene narrato sembra veramente impossibile.
Quanto, noi donne, siamo distanti dalla distopica idea che ci propone la scrittrice?
Quante volte abbiamo invidiato una nostra amica, ci siamo guardate allo specchio, odiando il nostro corpo, ci siamo sentite inutili e brutte soltanto perché un uomo non ci ha scelte?
La O’Neill analizza con una lucidità straordinaria il modo in cui le donne si scagliano l’una contro l’altra, mosse da una società che le mette in continua competizione.
Questo romanzo è la dimostrazione che la letteratura young-adult non è fatta solamente di triangoli amorosi, di relazioni sentimentali esasperate, che dietro al romanticismo nascondono l’abuso, ma anche di scritture taglienti, ritmiche, agghiaccianti e, in questo caso, davvero feroci.


Francesca Benedetti